"Je pose la tasse et me tourne vers mon esprit. C’est à lui de trouver la
vérité"

giovedì 28 aprile 2011

Marie Antoinette (film)


Una scena tratta dal film "Marie Antoinette" di Sofia Coppola



"Ero una regina e mi hanno tolto la corona, una moglie e hanno ucciso mio marito, una madre e hanno portato i miei bambini lontano da me, mi è rimasto solo il mio sangue. Prendetelo. Ma non fatemi soffrire a lungo. "
-Maria Antonietta-


Maria Antonietta nasce a Vienna il 2 novembre 1755. Nel 1770 raggiunge a Versailles il suo promesso sposo, il delfino di Francia futuro Luigi XVI. Il 16 ottobre 1793 viene ghigliottinata. Si può racchiudere in queste tre date la vicenda storica di una delle regine più note della Storia. Non è però a questo che guarda Sofia Coppola nella terza opera di una filmografia dedicata alla difficoltà di crescere per una giovane donna, quale che sia il luogo o l'epoca. Non è però di una giovane donna qualsiasi che stiamo parlando,parliamo della regina-bambina di Francia,icona di bellezza,stile e moda del XVIII secolo: il suo stile personale,a metà tra il Rococò teresiano e il Neoclassicismo francese venne definito Moyenne.Ma non si dimentichino anche le opere buone della regina come i numerosi aiuti alle giovani madri e ai più poveri. Nonostante ciò,le fu impossibile cancellare di fronte all'opinione pubblica l'immagine di donna frivola,irresponsabile,assetata di lusso e dissipatrice. L'origine di tale comportamento è da ricercarsi nell'infanzia di Maria Antonietta,quando a soli quattordici anni venne data in sposa al delfino di Francia, ricordato come un uomo scialbo e arido.
Fu per questa ragione che la giovanissima principessa,per sopperire alla solitudine,alla noia e ad un matrimonio deludente cominciò a dedicarsi a costosi diversivi,quali il gioco d'azzardo,i vestiti di lusso,i gioelli e i dolci.Per non contare che a quel tempo Versailles era teatro di spietati pettegolezzi e l'ingenua Maria Antonietta divenne in breve tempo oggetto di diffamazioni di svariato tipo. Le fu addirittura affibbiato l'appellativo de "L'austriaca" o "Autrichienne" che in francese significa "cagna austriaca" a confermare i rancori covati dai francesi nei confronti dell'acerrima nemica Austria.
Forse l'unica sua colpa è quella di essere stata troppo giovane e pura e di essersi trovata di fronte una patria che l'ha odiata sin dall'inzio,conducendola alla ghigliottina senza prove tangibili.
Nel periodo di prigionia Maria Antonietta dimostrò di essere una madre e moglie esemplare.Morì con dignità e la sua morte segnò la fine dell' Ancien régime.

 

 

Ang.

mercoledì 27 aprile 2011

Bisogna credere nel progresso. E questa è una delle mie ultime illusioni.

 di Jean Paul Sartre

 
Foto di Denis Olivier
“Ho avuto il bisogno di cominciare a colloquiare con qualcuno. Sì, vi sono stato obbligato perché non potevo più scrivere. E questo ha cambiato dalle fondamenta il mio modo di lavorare, perché fino a quel momento avevo lavorato sempre solo, a un tavolo con una stilografica e dei fogli davanti a me. Adesso, invece, produciamo pensieri in comune. Talvolta rimaniamo di parere contrario, ma c’è uno scambio, che io, alla mia avanzata età, non avrei immaginato.
Da una parte rimango del parere che la vita dell’uomo alla fine si riveli un fallimento, che non raggiunga quello che si è prefisso. L’uomo non riesce neanche a pensare quello che vuole pensare o sentire quello che vuole sentire dentro di sé. Questo conduce a un pessimismo assoluto. In “L’Essere e il Nulla” non l’ho detto, ma adesso ho il dovere di affermarlo. D’altra parte, dal 1945 in poi ho continuato a pensarci su, e adesso sono convinto che la speranza sia la caratteristica più essenziale dell’agire umano. Speranza significa che io non posso intraprendere un’azione senza poter anche contare sulla possibilità di realizzarla.
Foto di Giorgio Bisetti
La mia opera è fallita. Non ho detto tutto quello che volevo dire, né l’ho detto come volevo dirlo, ma c’è un lento movimento della storia in direzione della presa di coscienza tra uomo e uomo. Alla fine, tutto quanto è accaduto ed è riuscito in passato troverà il suo posto, il suo valore. Per esempio quello che io ho scritto.
Questo è ciò che darà alle nostre azioni una sorta di immortalità. In altre parole, bisogna credere nel progresso. E questa è una delle mie ultime illusioni.
L’umanesimo sarà un giorno il modo d’essere uomo, il suo rapporto col prossimo e il suo modo d’essere uomo egli stesso. Ma ne siamo ancora tanto lontano. Siamo, se si vuole, dei bruti, cioè esseri viventi che non sono ancora pervenuti a un traguardo, che forse non raggiungeranno mai, verso il quale però si dirigono.
Essenziale è la morale del rapporto con gli altri. Questo è un tema di grande attualità, che mostrerà tutta la sua importanza quando l’uomo si sarà realizzato. Per morale intendo che una coscienza (è assolutamente  indifferente quale) possieda una dimensione che io nei miei scritti non ho indagato e che del resto solo pochi hanno osservato separatamente: la dimensione del dovere. Il termine dovere è brutto, ma per trovarne uno migliore bisognerebbe inventarlo.
Foto di Giorgio Bisetti
In “L’Essere e il Nulla” ho lasciato il singolo individuo troppo indipendente. Non ho definito ciò che oggi cerco di definire più da vicino: la dipendenza di un individuo in rapporto a tutti gli altri. In altri termini: che cosa significa essere un uomo capace, in comune con il suo vicino, che pure è un uomo, di produrre leggi e istituzioni, attraverso lo svolgimento di una libera scelta, da se stesso, e di creare così un cittadino dello Stato.
La teoria della sovrastruttura elaborata da Marx è bella, ma è completamente sbagliata perché il rapporto principale, quello tra uomo e uomo, è ben diverso. E che cosa sia esattamente, dobbiamo
scoprirlo noi. Io l’ho cercato, ma ho cercato anche altro. Mi sono allontanato dalla “Critica della Ragion dialettica” e soprattutto non ho scritto il secondo volume, perché questa domanda non era ancora maturata dentro di me, o almeno così sembrava. Non sono mai giunto a essere pronto.

[...]

Dobbiamo cercare di spiegare perché il mondo attuale,
che è orribile, sia solo un istante nella lunga evoluzione
storica, perché la speranza sia sempre stata una delle
forze dominanti delle rivoluzioni e perché io stesso
consideri la speranza come la mia visione del futuro”.


Per chi fosse interessato ad una lettura più approfondita, il testo integrale si trova su http://www.loescher.it/librionline/risorse_portalefilosofia/download/DiogeneN11_4.pdf , pag.6

A.

domenica 24 aprile 2011

Time for a book.

Barbey d'Aurevilly.

Del dandysmo e di George Brummell.

-Il mondo appartiene agli spiriti freddi-
(Macchiavelli)

Scriveva di se stesso Barbey d'Aurevilly nella prefazione alla seconda edizione di questo volumetto:"L'autore del Dandysmo e di George Brummell non era un "dandy"...,ma trascorreva quel tempo della giovinezza che faceva dire a Lord Byron,con la sua malinconica ironia :'quando ero un bello dai capelli inanellati'...;e a quell'età la gloria medesima non peserebbe quanto uno di quei riccioli!"
Non un dandy,dunque,almeno nelle sue intenzioni.Ma Jules-Amèdèe Barbey d'Aurevilly (1808-1889),uno degli scrittori di maggior talento e insieme più controversi del secolo scorso,autore di almeno due capolavori-Il cavaliere Destouches e le Diaboliche- " natura violenta e appassionata,amico del fasto nel vestire e nel parlare,sdegnoso dell'umile realtà che ai suoi occhi non era altro che mediocrità e volgarità"(Gustave Lanson),non poteva non essere attratto dal personaggio di George Bryan Brummell,detto "Lord Brummell" o "Beau Brummell",principe dei dandies inglesi,incontrastato dominatore dei salotti londinesi nei primi anni dell'Ottocento.
La profonda ,ribelle spiritualità del d'Aurevilly andava ad incontrarsi con il massimo della vacuità rappresentato del Brummell,"una individualità rarissima",citiamo ancora il d'Aurevilly,"che si era dato unicamente la fatica di nascere". Ne nacque questa specie di "manuale del dandy",che vedeva la luce per la prima volta nel 1845,cinque anni dopo la morte di George Brummell,ormai dimenticato,nell'ospizio di Bon Sauveur di Caen,la città dove d'Aurevilly aveva studiato legge nei primi ani giovanili.


Capitolo V

[...]Gli intelletti soliti a vedere le cose soltanto dal loro lato più piccolo hanno immaginato che il dandismo fosse principalmente l'arte del vestire,una felice e audace dittatura quanto all'abbigliamento e all'eleganza esteriori.Certissimamente è anche questo;ma è molto di più-non è un vestito che cammina da solo!Al contrario,è quella certa maniera di portarlo che crea il dandismo.-
[...]Il dandismo è una maniera di d'essere interamente composta di sfumature,come sempre accade nelle società molto vecchie e molto civili,dove la commedia divien così raffinata e dove le convenienze trionfano a stento della noia. In nessuna luogo l'antagonismo delle convenienze e della noia che esse generano s'è fatto sentire più che in Inghilterra.Così una delle conseguenze del dandismo,uno dei suoi principali caratteri-per dir meglio,l'indole sua più generale-è di produrre sempre l'imprevisto,vale a dire ciò che lo spirito assuefatto al giogo delle regole,non può,secondo buona logica,aspettarsi. L'eccentricità,altro frutto della terra inglese,lo produce anche,ma in un altro modo,in una guisa sfrenata,selvaggia e cieca. E' una rivoluzione individuale contro l'ordine stabilito ,talvolta contro la natura : qui si rasenta la follia.Il dandismo,al contrario,non si cura della regola,pur rispettandola ancora.Ne soffre e se ne vendica,pur subendola. Questo appunto aveva Brummell.Aveva la grazia come la dà il cielo e come spesso le compressioni sociali la falsano.Ma,l'aveva,in ogni modo,e perciò rispondeva ai bisogni di capriccio delle società annoiate e troppo duramente piegate sotto i rigori delle convenienze.


Capitolo X

[...]Le donne non gli perdoneranno mai di aver avuto la grazia come loro;gli uomini non averne avuta come lui.Il lusso di Brummell era più intelligente che vistoso;un'altra prova di quello spirito che lasciava lo scarlatto ai selvaggi e che più tardi inventava il grande assioma ." Per essere ben vestito,non bisogna essere notato."
Continuò a vestirsi in modo irreprensibile,ma spense i colori degli abiti,ne semplificò il taglio,li portò senza pensarci. Giunse così al colmo dell'arte che dà la mano alla naturalezza.[...] Alle volte quegli occhi sagaci sapevano ghiacciarsi di indifferenza senza disprezzo,come conviene a un dandy consumato,a un uomo che reca in sè qualcosa di superiore al mondo visibile. la voce magnifica rendeva la lingua inglese tanto bella all'orecchio quanto lo è al pensiero. "Non affettava di aver la vista corta,ma quando le persone presenti non avevano l'importanza che la sua vanità avrebbe desiderato,poteva assumere quello sguardo calmo,ma errante,che percorre qualcuno senza riconoscerlo,che non fissa e non si lascia fissare,che nulla occupa e nulla svia".[...]Piaceva con la persona,come altri piacciono con le opere. Il suo valore era nell'istante.Traeva dal torpore-cosa difficile!-una società eccessivamente scettica,colta,in preda a tutte le stanchezze di emozione delle civiltà vecchie.


Capitolo XII

[...]Dandies come Brummell non se ne vedranno più; ma uomini come lui,qualunque sia la livrea che il mondo gli faccia indossare,si può affermare che ce ne saranno sempre,ed anche in Inghilterra. Essi testimoniano della magnifica varietà dell'opera divina:sono eterni come il capriccio. L'umanità ha tanto bisogno di loro e della loro attrattiva quanto dei suoi eroi più grandi,delle sue figure più austere. Essi donano a creature intelligenti il piacere a cui hanno diritto.Fanno parte della società come altri uomini della moralità. Nature doppie e multiple,di sesso intellettuale incerto,nelle quali la grazia è ancor più grazia nella forza,e la forza si riconosce anche nella grazia,androgini della Storia,nonchè della Favola.

Ang.