"Je pose la tasse et me tourne vers mon esprit. C’est à lui de trouver la
vérité"

domenica 27 febbraio 2011

La sperimentazione di Apollinaire: i Calligrammi

Le poesie che seguono sono tratte dalla raccolta "Calligrammes. Poèmes de la paix et de la guerre", risalente al 1918.
Dall’amicizia con i pittori cubisti (Picasso, Braque) nasce in Apollinaire la volontà di creare una nuova scrittura dal gioco con lo spazio della pagina. In Calligrammes sperimenta la poesia visiva unendo lettere, parole e frasi in disegni complessi. La lettura tradizionale della poesia, secondo assi lineari (dall’alto al basso, da destra a sinistra) diventa impossibile.

1. Colombe poignardée et jet d'eau. 
La memoria eternizzata nel disegno.

Il primo disegno evoca gli amori perduti, il secondo gli amici dispersi. La poesia è costruita simmetricamente rispetto ad un asse centrale che va dalla C al ? (al centro del getto d’acqua) e alla O alla base del getto d’acqua.
La colomba, simbolo di pace e amore, viene pugnalata. La guerra ha distrutto le relazioni affettive del poeta, “Douces figures poignardées”. Diverse interpretazioni possono spiegare questo testo: la colomba sembra zampillare dal getto d’acqua, ma allo stesso tempo cade al suolo.
La continuità tra il getto d’acqua e il primo disegno è suggerita dal verso " Mais près d'un jet d'eau qui pleure et qui prie ". E' chiaramente distinguibile un movimento verticale, ascendente "jaillissent vers le firmament", ma anche una caduta ("Le soir tombe " alla fine del testo.) . Il getto d’acqua evoca, secondo alcune interpretazioni, anche l’immagine di un pianto: “Le jet d’eau pleure sur ma peine.
La base del disegno, di forma ovale, rimanda sicuramente al catino dal quale la fontana ha origine. Può anche essere letto come una bocca (ricollegandosi all’inizio della poesia, “Chères lèvres”) o come un occhio aperto dal quale sgorgano delle lacrime, con sua la pupilla (O) al centro.
Il disegno, quindi, non ha solo una funzione decorativa ma è polisemico e chiarifica il senso delle parole.

Nonostante la componente fortemente innovativa del disegno, la poesia si inserisce appieno nella tradizione dell’elegia classica. (Le elegie sono delle liriche malinconiche).
La guerra ha privato Apollinaire delle sue numerose amanti, i cui nomi sono riportati nella colomba in lettere maiuscole e seguendo uno schema di allitterazioni e di assonanze (m, i). Questi elementi, oltre al tema degli amori perduti, sono una caratteristica fondamentale della lirica elegiaca, in cui la musicalità del testo assume un ruolo essenziale.
Seguendo lo stesso schema, gli amici dispersi vengono commemorati nel getto d’acqua. I nomi sono qui tutti maschili e in alcuni di essi si riconoscono pittori e poeti contemporanei: Braque, Max Jacob.
Apollinaire non si priva del tutto della continuità con il passato e l’ipotesi, che emerge chiaramente dalla scelta del tema elegiaco, è confermata dall’uso, nel getto d’acqua, di versi ottosillabi (tipici della letteratura classica francese) " Tous les souvenirs de naguère/O mes amis partis en guerre "
Questo calligramma assume l’aspetto di un poema-oggetto per l’importanza della componente figurativa. Ma restano fondamentali il ritmo e i giochi fonetici. Apollinaire arriva qui a conciliare la modernità della sua scrittura con la tradizione di un tema elegiaco e classico, oltre a rendere immortale la memoria di un grande evento storico.

2. Coeur, couronne et miroir.
La figura del poeta.

La poesia si compone di tre immagini: il cuore, la corona e lo specchio.
Cuore:  « Mon cœur pareil à une flamme renversée. » Si intuisce facilmente, girando il disegno, la somiglianza con una fiamma tremante.
La corona, a destra, è costituita da un’alternanza di maiuscole e minuscole. « Les rois qui meurent tour à tour renaissent au cœur des poètes. »
Sopra, Apollinaire scrive « Dans ce miroir je suis en clos vivant et vrai comme on imagine les anges et non comme les reflets. » e fa assumere alla frase la forma di uno specchio al cui centro compare il suo nome.
Questi tre elementi insieme non sembrano avere alcun senso, se non si riflette sulla presenza dell’Autore nello specchio. Sembra comunicare che « Sono io ad aver creato la poesia, io posso fare delle cose che assomigliano ai loro equivalenti nella realtà, come lo specchio.”. Ma Apollinaire va oltre. La sua immagine non è riflessa, come sarebbe in uno specchio normale : è una presa di distanza dallo specchio semplice, per assumere la dimensione di un angelo, di una creatura sovrannaturale. Dimostra così la superiorità del poeta rispetto alla scienziati, legati inevitabilmente alle leggi fisiche. I poeti e gli artisti trascendono dalla realtà.
Dallo specchio si deduce il senso degli altri elementi: attraverso la figura del cuore il poeta vuole mostrare la sua influenza sulla percezione della realtà da parte del lettore e lo persuade tranquillamente che le lettere formano un cuore che, ribaltato, ricorda una fiamma. La corona, invece, rimanda all’abilità del poeta di rendere immortali le realtà e le persone evocate nelle liriche. (Exegi monumentum aere perennius, Hor.)
Cœur, couronne et miroir ha, in sintesi, un triplice significato. Presentando la figura del poeta, allude alle sue abilità di influenzare il lettore, rappresentare la realtà e proporne a sua volta un’interpretazione personale.





"Per me un calligramma è un insieme di segno, disegno e pensiero. Esso rappresenta la via più corta per esprimere un concetto in termini materiali e per costringere l'occhio ad accettare una visione globale della parola scritta". 
G. Apollinaire

A.

venerdì 4 febbraio 2011

Pubblico, oggi, un articolo apparso ieri su Repubblica.

Vivere vintage: la nostalgia come forma culturale.
di Aldo Nove



Ascoltiamo le cover, guardiamo telefilm con i colori degli anni Sessanta, scegliamo oggetti che hanno il sapore di un' altra epoca. Nessuno si sogna di desiderare cose vecchie eppure la nostra anima è diventata vintage. Così se il cellulare ci strappa dal luogo in cui siamo per portarci in un territorio comune che ha il solo difetto di non esserci, "vintage" è quanto ci àncora alla rassicurante dimensione perduta di un passato che ha più senso del presente, è più caldo e più accogliente: una suoneria che ci ricorda il telefono di casa di trent' anni fa ci piace perché evoca quella casa e lì ci riporta, per un attimo, e non importa se in quella casa ci siamo stati veramente.
Il vintage non è uno stile, è una forma che organizza la nostalgia. Perché la forma del passato è il contenuto di un presente che urge e latita allo stesso tempo, ma che si presta a essere riempito di cose ideali. Un eterno presente bulimico di momenti fondanti, di toppe pregresse di senso.

Il vintage è questo snodo parossistico del pensiero che cerca se stesso e si ritrova dappertutto, saturando il quotidiano di un' origine che è anche impulso all' acquisto e dunque perfetto, ideale anche troppo marchio di fabbrica, quello nostro, di umani in cima a qualcosa che reclama il proprio passato per raccontarsi: com' era bello quando etc. «Tutte le storie ne contengo una - diceva Kundera - che non è stata ancora raccontata, e che probabilmente non verrà raccontata mai»: il vintage è il lato passato, secondo la successione del tempo che caratterizza l' Occidente dai tempi di Sant' Agostino, di un presente che richiama la sua origine anche in senso merceologico perché le cose sono pieni di noi e noi pure dobbiamo essere pieni di qualcosa: luoghi carichi di senso. Il senso mitico di tutti, quello più immediato, è quello dell' infanzia, quello di Babbo Natale e del gioco come forma del mondo: secondo Eraclito era il tempo degli Dei, che giocavano con gli elementi: oggi è il vintage come piacere di una mitologia delle origini di un tempo im pazzito e che corre, attualmente, troppo; ed è anche il ripiegarsi su se stesse di cose tanto invasive quanto minacciose. Se il computer di ultima generazione si "traveste" da macchina da scrivere per strapparci un sorriso ma anche per esorcizzare la sua minaccia di novità in perenne mutazione è per abbandonars ia una mitica infanzia degli oggetti che fa tornare bambini gli utenti di cose immaginate come persone. «Quando il computer era piccolo» è l' inizio del racconto sottinteso al camuffamento del vintage telematico e lo stesso vale per l' iPhone che tra le sue applicazioni più scaricate ha quella che riproduce il vecchio telefono a rotella... le cose hanno un passato e lo condividono con noi e quel passato è un mito. Mito, diceva Roland Barthes, vuole dire parola e le parole delle merci non devono apparirci troppo aggressive perché possano, come è loro compito mercantile, riempire tutta la nostra esistenza. Anche un cellulare ha la sua infanzia ovvero deve averla, e allo stesso modo le pareti della nostra casa, se in omaggio a certi orridi (ma rassicuranti) poster "vintage" di tramonti cari agli anni Settanta dello scorso secolo richiamano un luogo originario delle mura ma anche nostro. Annunciando la crisi globale, una pubblicità delle marche associate, qualche anno fa, reclamizzava i propri oggetti in quanto «cresciuti con noi»: era già l' assunto del vintage odierno che si manifestava in una crisi che cerca di combattersi esibendo la propria mitologia umana, troppo umana, carica di aggettivi vibranti e sentimentali. Se il passato epico che Pasolini ricercava e ritrovava in periferie di un' Italia sotto certi aspetti mai esistita il vintage merceologico fa lo stesso nei grandi magazzini. Proviamo a raccontarla, questa storia, in termini più generali: «Quando i supermercati dell' anima erano piccoli le merci erano bambine»... È una bella storia appena appena terrificante ma piena di essere e di sorprese nella quale chiunque in Occidente ha il piacere di ritrovarsi, ed è una storia (un mito) che esprime un doppio movimento che, attraversando i secoli ha trovato, nell' idea di vintage la sua ipostasi merceologica. L' uomo ha dapprima creato gli oggetti perché fossero gli utensili con il quale costruire il proprio mondo,e attraverso quegli oggetti è presto arrivato a costruirne altri che hanno informato i precedenti di umanità: erano gli albori dell' arte e della storia. Nel corso dei secoli quegli stessi oggetti ci hanno in qualche modo superati, accresciuto il proprio statuto in modo esponenziale e certo imprevedibile (il tutto in una manciata di decenni, potremmo dire dagli ultimi cinquant' anni dello scorso secolo ad oggi), fino a diventare dominatori della nostra esistenza (in tutti i sensi: modificando, in meglio da un lato, la nostra capacità di gestire l' esistenza e sostituendosi, generando nuove forme di povertà, a milioni di posto di lavoro dall' altro). Diceva Hegel, in risposta a un interlocutore che bollava come frivolezza il suo interesse per la moda: «E tu ti ostini a chiamare moda quello che non è altro che movimento dello Spirito nel Tempo». Bravo Hegel: ci aiuta a comprendere il presente. E a capire che il vintage nonè altro che fenomenologia dello spirito delle merci, quelle merci che saturano il nostro orizzonte di senso, e che compriamo per estendere quel senso a noi stessi. La Pop art, all' inizio del periodo che abbiamo sopra considerato come fondante (il secondo dopoguerra dello scorso secolo) ha nobilitato il quotidiano, lo ha visto per quello che era, in Occidente: una sequela di merci umanizzate (le lattine di Coca-Cola e di Campbell' s, ad esempio) e di persone mercificate (ridotte a icone commerciali: su tutte, Marilyn). Quello è stato, dicevamo, un tempo mitico e fondante delle nostre "cose". Ma non era un discorso del tutto "nuovo". Semmai, una radicalizzazione. Quando Marinetti, all' inizio di quello stesso secolo, anteponeva l' automobile alla Venere di Samotracia, profeticamente rielaborava il mito di una società delle macchine giunta oggi alla sua compiuta "spiritualizzazione". Nell' anima di un computer c' è una macchina da scrivere. E in quella di un iPhone c' è un telefono a rotella e noi, noi viviamo in un mondo di merci adulte capaci, con perfida poesia, di ritornare quello che un tempo sono (o vogliamo che siano) state: piccoli, tenerie sprovveduti virgulti di un mondo delle cose ancora candide, ancora ingenue. Come noi: in un' altra vita, in un altro mercato.


A.