"Je pose la tasse et me tourne vers mon esprit. C’est à lui de trouver la
vérité"

venerdì 26 ottobre 2012

Cesare Pavese, dai Dialoghi con Leucò: L’inconsolabile

(Parlano Orfeo e Bacca).

Jean-Baptiste Camille Corot, "Orphée ramenant Eurydice des enfers" (1861)

Orfeo: E’ andata così. Salivamo il sentiero tra il bosco delle ombre. Erano già lontani Cocito, lo Stige, la barca, i lamenti. S’intravvedeva sulle foglie il barlume del cielo. Mi sentivo alle spalle il fruscìo del suo passo. Ma io ero ancora laggiù e avevo addosso quel freddo. Pensavo che un giorno avrei dovuto tornarci, che ciò ch’è stato sarà ancora. Pensavo alla vita con lei, com’era prima; che un’altra volta sarebbe finita. Ciò ch’è stato sarà. Pensavo a quel gelo, a quel vuoto che avevo traversato e che lei si portava nelle ossa, nel midollo, nel sangue. Valeva la pena di rivivere ancora? Ci pensai, e intravvidi il barlume del giorno. Allora dissi “Sia finita” e mi voltai. Euridice scomparve come si spegne una candela. Sentii soltanto un cigolìo, come d’un topo che si salva.
Bacca: Strane parole, Orfeo. Quasi non posso crederci. Qui si diceva ch’eri caro agli dèi e alle muse. Molte di noi ti seguono perché ti sanno innamorato e infelice. Eri tanto innamorato che – solo tra gli uomini – hai varcato le porte del nulla. No, non ci credo, Orfeo. Non è stata tua colpa se il destino ti ha tradito.
Orfeo: Che c’entra il destino. Il mio destino non tradisce. Ridicolo che dopo quel viaggio, dopo aver visto in faccia il nulla, io mi voltassi per errore o per capriccio.
Bacca: Qui si dice che fu per amore.
Orfeo: Non si ama chi è morto.
Bacca: Eppure hai pianto per monti e colline – l’hai cercata e chiamata – sei disceso nell’Ade. Questo cos’era?
Orfeo: Tu dici che sei come un uomo. Sappi dunque che un uomo non sa che farsi della morte. L’Euridice che ho pianto era una stagione della vita. Io cercavo ben altro laggiù che il suo amore. Cercavo un passato che Euridice non sa. L’ho capito tra i morti mentre cantavo il mio canto. Ho visto le ombre irrigidirsi e guardar vuoto, i lamenti cessare, Persefòne nascondersi il volto, lo stesso tenebroso-impassibile, Ade, protendersi come un mortale e ascoltare. Ho capito che i morti non sono più nulla.
Bacca: Il dolore ti ha stravolto, Orfeo. Chi non rivorrebbe il passato? Euridice era quasi rinata.
Orfeo: Per poi morire un’altra volta, Bacca. Per portarsi nel sangue l’orrore dell’Ade e tremare con me giorno e notte. Tu non sai cos’è il nulla.
Bacca: E così tu che cantando avevi riavuto il passato, l’hai respinto e distrutto. No, non ci posso credere.
Orfeo: Capiscimi, Bacca. Fu un vero passato soltanto nel canto. L’Ade vide se stesso soltanto ascoltandomi. Già salendo il sentiero quel passato svaniva, si faceva ricordo, sapeva di morte. Quando mi giunse il primo barlume di cielo, trasalii come un ragazzo, felice e incredulo, trasalii per me solo, per il mondo dei vivi. La stagione che avevo cercato era là in quel barlume. Non m’importò nulla di lei che mi seguiva. Il mio passato fu il chiarore, fu il canto e il mattino. E mi voltai.
Bacca: Come hai potuto rassegnarti, Orfeo? Chi ti ha visto al ritorno facevi paura. Euridice era stata per te un’esistenza.
Orfeo: Sciocchezze. Euridice morendo divenne altra cosa. Quell’Orfeo che discese nell’Ade, non era più sposo né vedovo. Il mio pianto d’allora fu come i pianti che si fanno da ragazzo e si sorride a ricordarli. La stagione è passata. Io cercavo, piangendo, non più lei ma me stesso. Un destino, se vuoi. Mi ascoltavo.
Bacca: Molte di noi ti vengon dietro perché credevano a questo tuo pianto. Tu ci hai dunque ingannate?
Orfeo: O Bacca, Bacca, non vuoi proprio capire? Il mio destino non tradisce. Ho cercato me stesso. Non si cerca che questo.
Bacca: Qui noi siamo più semplici, Orfeo. Qui crediamo all’amore e alla morte, e piangiamo e ridiamo con tutti. Le nostre feste più gioiose sono quelle dove scorre del sangue. Noi, le donne di Tracia, non le temiamo queste cose.
Orfeo: Visto dal lato della vita tutto è bello. Ma credi a chi è stato tra i morti… Non vale la pena.
Bacca: Un tempo non eri così. Non parlavi del nulla. Accostare la morte ci fa simili agli dèi. Tu stesso insegnavi che un’ebbrezza travolge la vita e la morte e ci fa più che umani… Tu hai veduto la festa.
Orfeo: Non è il sangue ciò che conta, ragazza. Né l’ebbrezza né il sangue mi fanno impressione. Ma che cosa sia un uomo è ben difficile dirlo. Neanche tu, Bacca, lo sai.
Bacca: Senza di noi saresti nulla, Orfeo.
Orfeo: Lo dicevo e lo so. Ma poi che importa? Senza di voi sono disceso all’Ade…
Bacca: Sei disceso a cercarci.
Orfeo: Ma non vi ho trovate. Volevo tutt’altro. Che tornando alla luce ho trovato.
Bacca: Un tempo cantavi Euridice sui monti…
Orfeo: Il tempo passa, Bacca. Ci sono i monti, non c’è più Euridice. Queste cose hanno un nome, e si chiamano uomo. Invocare gli dèi della festa qui non serve.
Bacca: Anche tu li invocavi.
Orfeo: Tutto fa un uomo, nella vita. Tutto crede, nei giorni. Crede perfino che il suo sangue scorra alle volte in vene altrui. O che quello che è stato si possa disfare. Crede di rompere il destino con l’ebbrezza. Tutto questo lo so e non è nulla.
Bacca: Non sai che farti della morte, Orfeo, e il tuo pensiero è solo morte. Ci fu un tempo che la festa ci rendeva immortali.
Orfeo: E voi godetela la festa. Tutto è lecito a chi non sa ancora. E’ necessario che ciascuno scenda una volta nel suo inferno. L’orgia del mio destino è finita nell’Ade, finita cantando secondo i miei modi la vita e la morte.
Bacca: E che vuol dire che un destino non tradisce?
Orfeo: Vuol dire che è dentro di te, cosa tua; più profondo del sangue, di là da ogni ebbrezza. Nessun dio può toccarlo.
Bacca: Può darsi, Orfeo. Ma noi non cerchiamo nessuna Euridice. Com’è dunque che scendiamo all’inferno anche noi?
Orfeo: Tutte le volte che s’invoca un dio si conosce la morte. E si scende nell’Ade a strappare qualcosa, a violare un destino. Non si vince la notte, e si perde la luce. Ci si dibatte come ossessi.
Bacca: Dici cose cattive… Dunque hai perso la luce anche tu?
Orfeo: Ero quasi perduto, e cantavo. Comprendendo ho trovato me stesso.
Bacca: Vale la pena di trovarsi in questo modo? C’è una strada più semplice d’ignoranza e di gioia. Il dio è come un signore tra la vita e la morte. Ci si abbandona alla sua ebbrezza, si dilania o si vien dilaniate. Si rinasce ogni volta, e ci si sveglia come te nel giorno.
Orfeo: Non parlare di giorno, di risveglio. Pochi uomini sanno. Nessuna donna come te, sa cosa sia.
Bacca: Forse è per questo che ti seguono, le donne della Tracia. Tu sei per loro come il dio. Sei disceso dai monti. Canti versi di amore e di morte.
Orfeo: Sciocca. Con te si può parlare almeno. Forse un giorno sarai come un uomo.
Bacca: Purché prima le donne di Tracia…
Orfeo: Di’.
Bacca: Purché non sbranino il dio.


Auguste Rodin, "Orpheus and Eurydice" (1893)


lunedì 9 luglio 2012



Bannières de mai

Aux branches claires des tilleuls
Meurt un maladif hallali.
Mais des chansons spirituelles
Voltigent parmi les groseilles.
Que notre sang rie en nos veines,
Voici s'enchevétrer les vignes.
Le ciel est foli comme un ange.
L'azur et l'onde communient.
Je sors. Si un rayon me blesse
Je succomberai sur la mousse.

Qu'n patiente et qu'on s'ennuie
C'est trop simple. Fi de mes peines.
Je veux que l'été dramatique
Me lie à son char de fortune.
Que par toi beaucoup, ô Nature,
- Ah moins seul et moins nul! - je meure.
Au lieu que les Bergers, c'est drôle,
Meurent à peu près par le monde.

Je veux bien que les saison m'usent.
A toi, Nature, je me rends;
Et ma faim et toute ma soif.
Et, s'il te plaît, nourris, abreuve.
Rien de rienne m'illusionne;
C'est rire aux parents, qu'au soleil,
Mais moi je ne veux rire à rien;
Et libre soit cette infortune.

Bandiere di maggio

Tra le fronde chiare dei tigli
Si spegne un fievole hallalì.
Canzoni spiritose intanto
Volteggiano tra l'uvaspina.
Ecco le vigne aggrovigliarsi,
Ma rida il sangue nelle vene.
Bello come un angelo è il cielo.
Combaciano l'onda e l'azzurro.
Esco. Se un raggio mi ferisce
M'accascerò  sopra il muschio.

Pazientare o averne a noia,
Fa lo stesso. Basta, mie pene.
Che l'estate drammatica infine
Mi leghi al suo carro di fortuna.
E che per te presto, oh Natura,
Io muoia,-ah, meno solo e nullo!
Mentre i Pastori, - è cosa strana! -
Muoiono quasi per il mondo.

Mi consumino le stagioni.
Proprio a te, Natura, m'arrendo;
Fame e sete e me per intero.
DI grazia, disseta, alimenta.
Niente di niente m'illude;
Se rido al padre, rido al sole,
Ma non voglio ridere a niente.
E libera sia questa sventura.

Maggio 1872

domenica 1 aprile 2012

Louise Bourgeois avrebbe amato Freud

Nella casa museo di Londra un corto circuito perfetto tra pensiero e creazione con le provocanti sculture dell'artista americana sospese sul celebre lettino.


Il lettino di Freud e Janus Fleuri di Louise Bourgeois

Un uomo e una donna parlano sottovoce, consapevoli che il luogo nel quale si trovano non è un museo comune. In un angolo una ragazza sembra perduta. Tutto è avvolto da una misteriosa atmosfera, al tempo stesso accogliente e inquietante. Le tende chiuse impediscono alla luce di filtrare; intorno, oggetti di elegante intimità domestica: antiche stampe alle pareti, una grande libreria di volumi antichi, una scrivania ricolma di reperti dell'antico Egitto, e poi, un divano avvolto da cuscini e da un tappeto caucasico con i simboli della fertilità. Ma sopra il divano, sospesa nell'aria, quasi fosse uno sconosciuto animale preistorico, qualcosa di inaspettato e difficile da comprendere al primo sguardo: è una scultura in bronzo, ricoperta di lamina d'oro. La scultura di un membro maschile.
In questa piccola casa al numero 20 di Maresfield Gardens a Londra, il pensiero che ha rivoluzionato la storia del Novecento di presenta con la potenza sacrale di un'immensa cattedrale laica, un monumento alla Ragione che emoziona e incute rispetto, come se un'insondabile energia avvolgesse questo luogo denso di memoria e di umane tragedie. E' la casa londinese di Sigmund Freud. Qui il padre della psicoanalisi ha trovato rifugio nel 1938, dopo essere fuggito da una Vienna minacciata dai nazisti. Freud aveva 82 anni e qui ha ricreato il suo studio, esattamente come quello di Bergasse 19: morì in questa casa il 23 settembre 1939, tre settimane dopo lo scoppio della Seconda guerra mondiale,
Se si voleva creare un corto circuito sul valore e il senso dello sguardo interiore non si poteva fare di meglio: Louise Bourgeois, una delle voci più alte dell'arte americana, grande scultrice, interprete raffinata e provocatoria dei temi della sessualità e dell'identità femminile, poco prima della morte (2010) è stata invitata a preparare una mostra nella casa di Freud. E' nata così The return of the repressed (il ritorno del rimosso), emozionante esposizione curata da Philipp Larratt-Smith, nata dalla scoperta nel 2004 di due scatole contenenti oltre mille fogli che costituiscono un archivio sulle reazioni di Louise Bourgeois al trattamento psicoanalitico iniziato nel 1951 con Henry Lowenfeld, medico freudiano.
La mostra presenta questi documenti e circa una decina di sculture, sparse nelle stanze, lungo i corridoi, sulle scale, in dialogo con gli arredi dell'abitazione, ma soprattutto con la memoria della casa di Freud.
"Ogni cosa esiste attraverso il significato che gli diamo", ricorda il padre della psicoanalisi.  Così, nel percorrere la mostra attraverso i ricordi personali di Freud e osservando le oniriche e surreali sculture della Bourgeois, si ha l'impressione che nessun altro artista avrebbe potuto creare una così stretta relazione tra pensiero psicoanalitico e creazione artistica. Non solo: si resta come ipnotizzati in un gioco di rimandi. Ogni singolo oggetto, compresi quelli della Bourgeois, appare impregnato dello sguardo di Freud come se anche le opere dell'artista si trasformassero in una macchina del tempo capace di superare ogni confine.
Così, se la prima opera che accoglie il visitatore è una vecchia stampa che riproduce Mosè con le tavole della legge (Freud dichiarò: "sono un ebreo senza dio"), la prima scultura della Bourgeois è un fulminante richiamo alla tormentata dimensione della sua arte; il corpo di una donna è disteso, una gamba amputata, una lama sospesa minacciosa e foriera di nuove ferite (Femme Couteau,2002).

Louise Bourgeois 1946 c.a
Louise Bourgeois è nata a Parigi nel 1911 e ha vissuto negli Stati Uniti dal 1938 sino alla morte: da sempre ha affrontato le tematiche dell'identità femminile e la complessa relazione tra vita e arte. In una grande opera( I am afraid, 2009) su un telo ricamato a mano scrive: "Ho paura del silenzio. Ho paura del buio. Ho paura di cadere. Ho paura dell'insonnia. Ho paura del vuoto. Mancare...cosa ti manca?Niente. Sono imperfetta ma non mi manca niente, mia madre forse, forse qualcosa manca ma non lo so, per questo non ne soffro..."
Ma l'opera cardine della mostra sta proprio nel luogo simbolico della casa: c'è da chiedersi che cosa avrebbe detto Freud di fronte alla scultura così dichiaratamente esplicita (Janus Fleuri, 1968) che incombe oggi sul lettino . Un'opera all'interno di un ciclo importante (Janus, la divinità della mitologia romana bifronte) e che esplora le figure di un corpo frammentato, mettendo in luce le contraddizioni, le divisioni, le lacerazioni della psiche. Una cosa è certa: in questo contesto tutta l'opera della Bourgeois assume un messaggio di intima rivelazione. E così nell'opera Cell XXIV Portrait(2001) vediamo la difficoltà nel suo essere contemporaneamente artista, madre, moglie. Tutto questo trova forma in una scultura (una gabbia di ferro) in cui una figura femminile di pezza con tre teste bifronti è sollevata al centro di quattro specchi che riflettono i diversi volti: metafora  dei diversi punti di vista intorno all'identità femminile. L'opera va diretta al cuore senza mediazioni:  quante donne oggi si trovano con le stesse domande, gli stessi dubbi?

Cell XXIV Portrait (2001)
Il pensiero intorno a questo tema è uno dei punti centrali del lavoro della Bourgeois che ritroviamo anche nel piccolo giardino: qui, un grande ragno nero sembra impedire lo sbocciare della primavera. Ma oggi, l'opera Spider (1994) sembra soccombere alla natura e ai fiori di un ciliegio che cadono dolcemente sull'animale di metallo, come se, ancora una volta, la forza di questo luogo, il giardino dove Freud trovava il piacere della contemplazione nei suoi ultimi giorni, avesse il potere di lenire le ferite dell'esistenza.
Forse, la semplice sintesi di questa magica relazione tra i due protagonisti del pensiero e dell'arte è sotto gli occhi di tutti, sul quaderno dei visitatori. Qui, Samiha Abdel Djeba con una biro blu e con una grafia sicura annota. "Freud avrebbe amato Louise Bourgeois."



Da "laLettura", Corriere della sera.

giovedì 26 gennaio 2012

La Madama in incognita

Fonte: Confessions of an unrepetant art junkie.


Mme X fu probabilmente una donna realmente esistita ben conosciuta dalla società del tempo. La sua bellezza pallida attrasse da subito il giovane Sargent che le chiese di posare per lui. Tuttavia lei accettò solo dopo parecchi tentativi.
"Mme X" non fu mai veramente una commissione.Sargent perseguitò la donna fino a quando questa cedette e gli permise di dipingerla, ma conservò il lavoro fino a dopo la morte di lei.
Fra i primi dipinti di Sargent vi è un ritratto che egli esibì al Salone del 1881 e il cui soggetto la donna conosceva senza ombra di dubbio poichè era presumibilmente coinvolta con lui in una relazione. Questo ritratto, chiamato "Dr. Pozzi a casa", si trova ora nell' "Armand Hammer Museum" ed è un ritratto piuttosto drammatico e impressionante : una sinfonia di rosso e nero e uno studio di calore e freddi.
Dr. Pozzi è ritratto a figura intera in un incandescente mantello rosso con la punta della sua pantofola marocchina  che fa capolino dal lembo. Sargent era un maestro nel creare oggetti in angoli torbidi e bui  che sembravano quasi spettrali, ma molto reali. Il dottor Pozzi appare da dietro la sua tenda di velluto rosso appena resa mentre giocherella con la scollatura della vestaglia e guarda distrattamente lontano da noi, quasi cercasse di evitare il nostro sguardo  per guardare indietro in un attimo mentre, socchiudendo gli occhi, riserva uno sguardo per Madame X. Lei invece guarda fuori dalla tela con fare nebuloso.





Dr.Samuel Jean Pozzi at home,1881
Armand Hammer Museum of Art
Oil on canvas
Che cosa  causò quindi uno scandalo tale con la signora. X che Sargent non potè più trovare commissioni e ben presto dovette trasferirsi a Londra? Secondo alcuni studiosi furono i gioelli e le spalline.Sargent ritrasse Mme. X nel famoso abito nero con le spalline ingioiellate.  Ella esibisce qui il suo anello nuziale, mettendolo in mostra contro la gonna di raso nero. Indossa anche il più fine dei diademi, appena adagiato sui capelli, a forma di falce di luna: il simbolo di Diana, la Dea della Caccia. Nel 1880 nessuno avrebbe osato indossare un abito da sera senza gioielli, orecchini, bracciali, spille e collane. Il fatto che la signora. X indossi solo la  fede nuziale e un diadema suggerisce che sia a casa dopo una serata fuori e abbia rimosso il suo involucro esterno di gioielli. L'anello nuziale è, inoltre, intenzionalmente posizionato in una posizione prominente. Quando Sargent in origine mostrò il lavoro nel 1884 la spallina destra della signora X era dipinta in modo che cadesse dalla spalla, denudando il petto suggestivamente. Come è giusto sottolineare, nel 1884, le uniche opere contemporanee che mostravano donne in condizioni simili , erano i dipinti di Toulouse Lautrec e i genereci disegni di prostitute. Mostrando Mme. X in un tale stato mancava quel tipo di decoro che  ci si doveva aspettare in un ritratto della società. Ma sarebbe stato troppo semplice accontentarsi di questa giustificazione.


Mme X, 1884
Metropiltan Museum of Art, New York
oil on canvas
Attraverso le lettere tra Mme X e Sargent è possibile dimostrare che all'inizio la modella era compiaciuta del dipinto nonostante trovasse posare estremamente noioso quindi sappiamo che la sua reazione iniziale al dipinto non fu la causa della sua infamia.Se è vero che la tradizione della ritrattistica francese vedeva gli aristocratici ritratti come eroi classici o dee, Mme X costituiva l'orrore nella statistica. Il suo diadema e il suo riferimento a Diana la tratteggiano come una cacciatrice/seduttrice, non come l'incarnazione di una dea classica, e la spallina arma l'immagine di un forte potere sessuale. Eppure tutto ciò sembrava accettabile anche per il soggetto, fino a quando  il quadro fu esposto al Salon del 1884.
Qui si scatenò l'inferno per John Singer Sargent. I critici odiarono il dipinto. Cartoni satirici apparvero sui giornali raffigurando Mme X come un lupo lascivo.
Tutti i pezzi dovrebbero esserci: Dr. Pozzi come precedente lavoro di Sargent, la spallina, la mancanza di gioielli, il riferimento alla dea della caccia, la posa audace, lo sfondo misterioso e scuro. In realtà manca un pezzo cruciale. Le tele di Mme. X e il dottor Pozzi sono esattamente delle stesse dimensioni. Sono corrispondenti ma non sono mai state destinate ad essere appese assieme.
Il ritratto a figura intera è un formato di solito riservato ai soggetti reali o storici, quindi, il fatto che entrambi fossero a figura intera è, prima di tutto, un'ostentazione e che fossero esattamente delle stesse dimensioni è una richiesta di essere considerati da noi come una coppia. "Dr. Pozzi a casa "è stato esposto al Salon del 1882 e" Mme. X "al Salon del 1884 così che i parigini avrebbero ricordato la tela in rosso del giovane artista esposta solo due anni prima quando avrebbero visto per la prima volta Mme X con la sua spallina audace, le spalle bianche e l'aria sdegnosa.


Mme X, originale

Nonostante i due non fossero mostrati assieme, i sofisticati parigini del 1880 avrebbero notato che Dr.Pozzi e Mme X erano dipinti nello stesso formato, uno di fronte all'altra in quella che sembrava essere una vera e propria conversazione, lei gli sta di fronte seducente e lui risponde furtivamente. Aggiungete a questa equazione che Dr. Pozzi era stato accusato di essere l'amante di Mme X in un momento in cui avere un'amante era accettabile ma non lo era l'indiscrezione e si ha probabilmente il motivo per cui "Mme X" di Sargent suscitò un simile scalpore al Salon del 1884 : egli osò creare un paio di indimenticabile bellissimi ritratti che alludevano alla relazione dei due modelli in un modo che i parigini avrebbero certamente compreso e che avrebbe allontanato i due dall'artista per paura della loro stessa reputazione. Certamente Mme X ,pur avendo visto il dipinto di Dr.Pozzi e pur avendolo apprezzato lei stessa, non avrebbe mai nè previsto la tempesta di critiche che il dipinto suscitò nè immaginato che perfetto compagno fosse il suo dipinto a quello di Dr. Pozzi. Il suo è uno studio in rosso: vermiglio, rosso ciliegia, arancione e cremisi.
In Mme X la travolozza dei colori verte sul marrone e sul nero del vestito e dello sfondo che vanno a incontrare il bianco lavanda della pelle di lei. E' un luogo fresco, quasi freddo ma l'orecchio,le labbra rosa e la punta del naso suggeriscono il calore all'interno. I dipinti si completano. La malizia celata di lei,  la consapevolezza di lui, il freddo caldo di lei, e il caldo freddo di lui. I parigini l'avrebbero certamente notato.
Non appena le recensioni furono scritte, Sargent cercò di rimuovere la pittura e ridipingere la spallina. Una foto del 1885 mostra il pittore nel suo atelier vicino al dipinto modificato.

John Singer Sargent, 1885
Sargent lo intitolò "Mme X" dopo che lo vendette  al Metropolitan Museum of Art di New York in seguito alla morte del soggetto dicendo che non doveva essere chiamato con il nome di lei " a causa di una discussione che ebbi con la signora." Benchè non esistano prove della natura della discussione, si è giustamente dedotto che avesse qualcosa a che fare con il dipinto. Sembrerebbe che più tardi il soggetto scrisse a Sargent chiedendo di prestarglielo e mandarglielo in Germania, ma lui non lo fece mai. Lo espose anzi parecchie volte nel corso della sua vita chiamandolo: " la cosa migliore che abbia mai fatto". E' infatti uno dei suoi capolavori. Tuttavia, se intesi come una coppia di ritratti, "Mme. X "e" Dr. Pozzi "creano un dialogo che non ha pari nella ritrattistica. Esso infatti è più drammatico, ammiccante, sensuale, realistico, umano di qualsiasi altro prima o dopo. I parigini del 1884 con molte probabilità capirono quella squisita conversazione  e lo scandalo che ne derivò costrinse il giovane Sargent a rifugiarsi Londra.
Egli ci ha fatto dono di una delle più belle coppie dell'arte, una coppia tanto sottile da non essere capita ancora oggi. Ha fissato sulla tela  una conversazione immortale la cui chiave si nega a un mondo distratto.

domenica 25 dicembre 2011

Buon Natale!

Tanti cari auguri a tutti! Mancano pochi giorni al primo compleanno del blog, quindi ne approfittiamo per ringraziare con particolare affetto i nostri (pochi) lettori che hanno seguito questi primi passi. Buona giornata!

martedì 6 dicembre 2011

My favorite thing is to go where i've never been -Diane Arbus-


Diane Arbus holds "Child with Toy Hand Grenade in Central Park"

Diane Arbus: la fotografa "contro" che restituì dignita a freak e marginali, scandalizzò l'America e cambiò il costume.
Quale sarà stata in fondo la vera Diane Arbus? La più vicina alla ricca Diane Nemerov nata il 14 marzo 1923 da una famiglia altoborghese ebrea di origine russa? Forse non lo sapremo mai. Neppure dopo averla vista interpreta sul grande schermo da Nicole Kidman nel confuso eppure intrigante Fur. Neppure dopo l'unica biografia autorizzata dalla famiglia (Revelations scritta dalla figlia Doon) e neppure dopo l'ultimo libro uscito in Usa quest'estate (an Emergency on Slow Motion, Bloomsbury) in cui William Todd Schultz promette rivelazioni, solo in parte mantenute. Perchè il destino della fotografa che negli anni Sessanta-Settanta ha trasformato freak e marginali (travestiti,malati di mente, handicappati, bambini che giocano con bombe giocattolo a Central Park, dominatrici che abbracciano i propri clienti, mangiatrici di spade, nudisti per niente tonici) in soggetti degni di essere guardati (basti pensare allo straziante ritratto del gigante con i suoi genitori) è in fondo quello di continuare a rimanere "fuori fuoco". Forever.
Ma niente, si sa, è per sempre. Tantomeno la vita segreta di una dei grandi della fotografia, quella che aveva studiato disegno con un'alunna di Grosz( il ritratto della donna con i guanti bianchi del 1963 lo dimostra in modo perentorio), quella che con il marito Alan Arbus(pure lui fotografo, da cui avrebbe divorziato nel 1969) aveva aperto uno studio a New York(per l'epoca assai à la page)impegnato soprattutto con le riviste di moda( da "Glamour" a "Seventeen" a "Vogue" passando dal "New York Times" e "Children Fashion".) Anche perchè il mito, con tutti i suoi pericolosi fraintendimenti, è dietro l'angolo quando, il 26 luglio 1971, ci si suicida (come farà Diane) con una dose da cavallo di barbiturici e ci si taglia le vene nella vasca da bagno. Mentre, tanto per gradire, un tuo vecchio amico, un grande regista chiamato Stanley Kubrick, qualche anno più tardi penserà bene di mettere in scena in uno dei suoi capolavori (Shining del 1980) non solo una delle tue foto più celebri (Identical Twins) ma anche il momento della tua morte, richiudendolo tra gli implacabili incubi della camera 237 dell'Overlook Hotel.


"Identical Twins" 1967
E tutto accadrà, racconteranno le cronache, solo perchè ci si è sentiti oppressi dal successo (decretato persino da una mostra al grande MoMa), un successo nato dall'essere in parte identificata come "fotografa dei mostri", quasi una condanna che spingerà Diane fino (e ben oltre) il confine della depressione. " Prima era molto contenta, poi le sembrò di aver letteralmente perso il controllo" racconta Lisette che aveva lavorato con lei come modella nella serie Untitled del 1970 realizzata in un istituto per disabili. La serie in qualche modo della frattura definitiva, quella (celeberrima) dei gruppi di uomini e donne mascherati che sembrano creature uscite fuori da una Fairy Tale settecentesca o da un Midsummer Night Dream di shakespeariana memoria ( a chiudere la sua storia sarebbero state però immagini di prostitute e bordelli.)


"Child with Toy Hand Grenade in Central Park" 1970

Lentamente hanno cominciato a prendere forma i pensieri della fotografa. Grazie ai taccuini, ai blocchi di appunti, alle cartoline, alle lettere inviate agli amici, insomma a tutte quelle carte riempite ossessivamente da una calligrafia fitta e assai inclinata, carte che ad ogni mostra sembrano voler prendere sempre maggior corpo.
A Parigi, al Jeau de Paume (fino al 5 febbraio), sulla scia di una voglia di guardare l'artista dal buco della serratura che ha prodotto certi spunti della mostra di Edvard Munch al Centre Pompidou e di quella sui fratelli Stein al Grand Palais, due intere stanze sono così dedicate a quel che resta di scritto di Diane Arbus.
I visitatori, questa volta, in una ribaltamento del desiderio di Diane di  voler rubare un'umanità nuda e compiacente, cercano di impossessarsi, attraverso quelle carte, dei segreti della fotografa che avrebbe tracciato la strada di un'altra grande comme Anne Leibovitz .
"La mia vita è tutta qui- scrive Diane in un suo appunto del 1959- nella calma piena di paura che prova un bambino davanti a chi lo aspetta e gli chiede: perchè non sei pronto?" Una calma non certo piatta, un porto non certo sicuro( "sono nell'occhio del ciclone"annota più sotto), un mare frastagliato (come i collage che ricoprivano le pareti del suo appartamento di Westbeth)che accoglie persino frammenti della filosofia di Platone: "Una cosa non si vede perchè è visibile, ma al contrario è visibile perchè si vede."
Un mare crudele con le sue vittime perchè " la crudeltà non è altro che una forma estrema di confidenza, una forma di confidenza assoluta." Solo così si possono giustificare altri appunti che associano ad ogni nome una qualifica non certo political correct (la più gentile è "grasso".) Solo così si può capire quella confidenza unica che la Arbus cercava con uomini, donne e bambini per trovare il segreto di "quella rigidità , emotiva e no, che condiziona tutti i rapporti umani"


"Woman at Counter "1962 *
Diceva anche: " Voglio fotografare le cerimonie del presente, perchè sono i simboli e i monumenti della nostra società. Voglio coglierne l'essenza, tutto quello che si nasconde dietro l'apparenza."
Ecco allora svelarsi solo uno dei segreti della fotografa: oltrepassare sempre lo specchio scuro della realtà. "La prima parte della mia storia è frutto della mia fantasia", scriverà a margine della sua autobiografia del 1934, durante gli anni del liceo, prima ancora di diventare fotografa (quando era soltanto una ragazza dall'aria inquieta pettinata alla maniera di Veronica Lake.)Una storia da compilare ognuno a suo modo lasciando però sempre tanti spazi bianchi sulla pagina. 
E allora, tutti quei taccuini riempiti con una calligrafia fitta e molto inclinata?Un modo come un altro per nascondersi ancora di più. "Perchè- parole sue- il fotografo è un segreto su un altro segreto. Più parla, meno puoi sapere di lui"
"Self-portrait in mirror"

L'articolo è stato tratto dall'inserto "laLettura" del Corriere della sera e sono state apportate delle modifiche ad alcune parti.

*"Woman at counter" sembra prendere spunto dalla donne di Hopper.

mercoledì 26 ottobre 2011

L'arte di essere.

Kiki Smith
(tratto da "Elle" ottobre 2011)

Pyre woman on haunches 2001
Una nuvola di capelli bianchi. Agita solo le mani sottili fiorite di tatuaggi. Una voce esile che quasi fatica a uscire. Eppure la tempra c'è.
L'intervista inizia così alle cinquantaquattresima Biennale di Venezia, in occasione di "Glass street". Non ama le domande, l'approssimazione la infastidisce. "Prestare attenzione alle cose significa dare importanza ai dettagli. Riflettere, fermarsi, prendere il tempo di osservare. In un mondo saturo di informazione, il linguaggio è riduttivo. Ti ritrovi intrappolato in un'idea. Per questo amo l'arte : permette alle esperienze di rivelarsi lentamente. Dotarsi di un vocabolario visivo per scrivere altro. Un pò come occuparmi del mio orto, vedere l'energia che si trasforma. "
Kiki Smith è una quotatissima artista americana. Mostre ovunque, nelle collezioni dei più importanti musei del mondo, dal MoMa di New York al Centre Pompidou a Parigi, dal Guggenheim Museum alla Tate di Londra. Una star, insomma.
Identical Twins 1990
Figlia d'arte nata a Norimberga nel '54, cresce nel New Jersey in una famiglia molto creativa di artisti e artigiani. Un'infanzia leggendaria. Una grande casa piena di oggetti e donne indaffarate, ore passate in studio aiutando suo padre, celebre scultore minimalista, a preparare i cartongessi per le grandi sculture geometriche. Niente televisione e neanche cinema la domenica. Dice che,per diventare artista, la volontà non c'entra. Di sicuro mai lo avrebbe immaginato. Parla di attrazione visiva, di sperimentazione, del sogno di farsi portare là dove le cose nascono. E poi migrano in posti sempre diversi. Provo a chiederle cosa pensa della bellezza. Ride. "Domanda troppo generica." Racconta invece di connessioni vitali. Che il mondo è meraviglioso altrimenti perchè ci saremmo così attaccati. Sembra in trance. Lavoro, disciplina, rigore. "Lo dico sempre ai miei assistenti: l'arte deriva da un'esigenza molto profonda. Seguite con estrema tolleranza le vostre propensioni. Senza giudicarvi troppo.Un giovane artista deve essere disposto a vivere nell'anonimato. Sentire fame di esperienza : ecco ciò che conta.
 
Torso 1991